La vita intera e la carriera in ossequio all'unica 'Chiesa': il Pci e l'Urss. Nel '56 condannò la rivolta ungherese, poi attaccò ogni dissidente
Da quando è caduto il muro di Berlino e con esso è crollato anche da noi il Pci, abbiamo scoperto che, nonostante il partito comunista italiano avesse avuto un seguito di massa, e anche la convinta adesione di una gran parte del mondo intellettuale, i comunisti erano stati pochi. E quei pochi che c'erano, lo erano stati comunisti di un comunismo speciale. Veltroni ha voluto far credere che non è mai stato comunista.
In poche parole, professarsi comunisti significava sentirsi - ed essere - una forza democratica di sinistra, ma al contempo nutrire un'identità utile a farsi sentire un partito diverso, alternativo, incontaminato rispetto alla dominante politica politicante di un'Italia sempre a rischio di cadere nel gorgo di un neofascismo mai davvero debellato e comunque incapace di realizzare una democrazia compiuta.
Nel 1956, di fronte alla rivolta di Budapest non se l'è sentita di disobbedire e ha avallato il sopruso consumato dalla madre patria del comunismo a danno di un popolo che anelava solo alla libertà. La repressione del moto ungherese era necessaria sostenne - per «salvare la pace nel mondo». La difficoltà a sostenere la dissidenza degli artisti dell'Est ritorna nel 1977, in occasione della Biennale del dissenso organizzata a Venezia da Carlo Ripa di Meana. Napolitano non prese le distanze dalla linea, fatta di ostracismo e di ostacoli frapposti al suo finanziamento, seguita dal Pci.
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