Fra i sicari che 38 anni fa uccisero l’investigatore della squadra mobile c’è il boss di Pagliarelli che oggi è diventato il ricercato numero uno
Ci sono giorni in cui le storie di Palermo continuano a intrecciarsi in modo vorticoso, fra passato e presente. Il 6 agosto è uno di questi. Trentotto anni fa, era il 1985, i killer di Cosa nostra uccisero il vice questore Ninni Cassarà, il brillante capo della Sezione Investigativa della squadra mobile, il principale collaboratore del giudice Falcone.
Giovanni Motisi detto il “pacchione”, il grasso, aveva 26 anni all’epoca, era un mafioso della famiglia di Pagliarelli. Ma era soprattutto un fidato killer del gruppo di fuoco scelto da Riina per gli omicidi eccellenti. Anzelmo, uno dei sicari di Cassarà che poi ha collaborato con la giustizia, ha raccontato all’allora sostituto procuratore Gioacchino Natoli, che Motisi partecipò anche alle riunioni preparatorie a vicolo Pipitone. «La prima si tenne ad inizio luglio.
Non furono presi altri provvedimenti punitivi, anche perché Motisi è nipote di un altro autorevole padrino di Cosa nostra, Matteo Motisi classe 1918, che era stato al vertice del mandamento di Pagliarelli. Semplicemente, il boss si sarebbe fatto da parte. E in nessuna indagine è più rispuntato. Così, adesso, Giovanni Motisi è un fantasma che aleggia su Palermo.
Il 6 agosto è ormai il simbolo dei pezzi mancanti di Palermo. Questo stesso giorno, del 1980, Cosa nostra uccise Gaetano Costa, il procuratore della Repubblica di Palermo che aveva appena avviato un’indagine bancaria sui rapporti fra il clan Inzerillo e ambienti economici della città. Anche questa una storia che intreccia passato e presente di Palermo: non c’è nessun colpevole per l’omicidio di Costa, il presunto palo del delitto — un Inzerillo — venne assolto tanti anni fa.
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